L’università è da sempre considerata il fiore all’occhiello della cultura italiana, una delle istituzioni più importanti, ereditata dal Medioevo.
Negli anni è riuscita a conservare il suo obiettivo principale: promuovere e trasmettere il sapere, nonché la ricerca di altre conoscenze.
Inizialmente l’accesso agli studi universitari era riservato ad una ristretta fascia della popolazione, la cosiddetta elite, limite oggi giorno inesistente.
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La riforma del 1999 ha sancito che le università possono rilasciare questi titoli di studio: laurea di primo livello ( tre anni di studi), laurea specialistica di secondo livello ( con altri due anni di studi), il diploma di specializzazione (durata variabile, generalmente uno o due anni) eil dottorato di ricerca (non inferiore a tre anni). Un percorso universitario completo comporta un impegno di circa dieci anni a cui eventualmente aggiungere il tempo necessario a conseguire Master di I o II livello.
L’indagine sulle università italiane da parte del MIM
Il Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM) ha recentemente svolto un’indagine sulle Università italiane, che ha delineato un quadro preoccupante, difatti, è emerso che il 7,3% degli studenti abbandonano al primo anno.
Il tasso di abbandono al primo anno è aumentato del 1% rispetto all’anno precedente, dove si registrava una percentuale del 6,1.
Le cause vanno probabilmente ricercate nel percorso di studi precendente, non adatto a formare i ragazzi alla futura mole di lavoro universitaria. Le motivazioni possono essere legati anche ai crescenti problemi economici delle famiglie e alla mancanza di adeguati sostegni da parte dello Stato. Infine potrebbe essere un ulteriore conseguenza della pandemia.
In totale il 42% degli studenti abbandono il percorso di studio scelto prima della laurea.
La professoressa Sabina Passamonti, docente universitaria ha rilasciato un’intervista su Trieste in diretta dove parla proprio della tematica dell’abbandono universitario. La docente inizia affermando che l’Italia è l’Italia è il Paese che occupa gli ultimi posti non solo europei ma anche dell’OCSE (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) per numero di laureati.
Questo dato permette di comprendere abbastanza sugli effetti dell’abbandono scolastico universitario. Fenomeno a cui gli atenei italiani stanno cercando di porre rimedio, dato che si tratta di una problematica preoccupante che incide anche sulle prospettiva future del paese riguardo i vari settori che i dipartimenti coprono.
Le motivazioni dell’abbandono universitario
La prima ragione dell’abbandono universitario, secondo la Passamonti, ha una natura più percepita che sostanziale, in ogni caso piuttosto grave, in quanto non c’è un grande guardano a livello lavorativo a conseguire una laurea in alcuni settori. Questa viene definita dalla professoressa una vera e propria “disoccupazione culturale“. Inoltre riuscire a completare il percorso di studi e laurearsi è estremamente oneroso ed è capitato spesso che se uno studente riesce a trovare un lavoro mentre studia, in seguito abbandona il percorso universitario intrapreso.
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Infine viene evidenziato che ciò che incide sulla stessa struttura universitaria è un dato molto specifico: per come è stata ridimensionata l’università non può permettersi la figura del tutor, cioè un insegnante che riesca ad aiutare anche in tutta una serie di passaggi che riguardano non soltanto il percorso universitario dello studente ma anche la sua crescita personale (come ad esempio succede nelle università anglo-americane). Tale carenza dipende dal numero sempre più ridotto di insegnanti.
La politica è stata quella di ridurre il corpo docente, aumentando quello amministrativo, che si è importante però questo dimostra come praticamente un docente non ha tante classi, tanti studenti e non abbastanza tempo per seguire tutti e dare loro il tempo che meriterebbero.
L’abbandono universitario al primo anno è sicuramente un fenomeno molto diffuso in Italia
Come affermato in precedenza l’abbandono universitario al primo anno è sicuramente un fenomeno molto diffuso in Italia.
I motivi sono obiettivamente tantissimi e non si limitano soltanto alla scelta del corso di studi, ma, dato che anche questo è un fattore che incide, prevenire è sicuramente meglio che curare. A tal riguardo il Politecnico di Milano, ad esempio, ha affidato a una sua DAU (Data Analysis Unit) il compito di prevedere quali saranno gli studenti con il rischio più alto di abbandono al primo anno. Proprio per questo l’orientamento universitario dovrebbe essere prioritario per tutti quanti, per fare in modo che situazioni di rinuncia agli studi durante il primo anno avvengano il meno possibile. Per uno studente, sapere che ciò che sta studiando è effettivamente incline alle sue attitudini si dimostra un incentivo per proseguire il percorso di studi.
Importanti strumenti sono i test psico-attitudinali di orientamento scolastico, o i cosiddette “open day”, giornate dove è possibile visitare le università a cui si è interessati.
Nelle scuole superiori di secondo grado è inoltre presente un docente che occupa il ruolo di referente dell’orientamento, che ha il compito di accompagnare famiglie e studenti nei momenti più delicati del percorso formativo.